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L’anima esiste da sempre e sempre esisterà, non muore mai. Il corpo muore e cambia la sua forma ma l’anima non muore mai. Per questo i Re ed i guerrieri vedici, persone qualificate che avevano ricevuto una ottima educazione, consideravano la morte in battaglia contro un degno nemico, come gloriosa perché sapevano che l’anima non muore mai ma continua il viaggio dopo una breve sosta in un corpo o in un altro.
Ve lo immaginate un guerriero che teme la morte? Non potrebbe proteggere nessuno se temesse di morire in battaglia!
Ai tempi vedici, i Re ed i guerrieri appartenevano alla stessa classe sociale ed era loro compito proteggere. A questo servivano, a proteggere. Se dichiaravano guerra, andavano loro a combatterla senza coinvolgere le altre classi sociali. Non era come nella nostra tradizione dove chiunque può essere chiamato in guerra senza aver ricevuto nessuna formazione morale.
L’anima pensa di attraversare dei cambiamenti ma è solo una impressione, come quella di chi vede gli alberi muoversi sulla riva del fiume mentre sta passando davanti a loro in una barca.
A causa dell’illusione, l’anima eterna e trascendentale crede di essere il corpo e fa distinzione tra coloro che considera suoi parenti e tutti gli altri, soffrendo molto per questa mentalità.
Sarebbe come dire che ci siamo abituati a vedere il piede come separato dalla gamba e la gamba come separata dal corpo. Il piede e la gamba non rappresentano la persona, benché siano attaccati ad un corpo così come il corpo non rappresenta la persona. Per capirlo, ci serve che qualcuno ci offra un punto di vista che non abbiamo considerato. Ma andiamo avanti.

Ci fu un Re che venne ucciso in battaglia e tutti i suoi parenti erano disperati.
Yamaraja, il Signore della morte, apparve allora nella forma di un bambino per offrire la conoscenza trascendentale ai parenti del Re defunto:

“Io sono soltanto un ragazzo ma voi adulti siete più confusi di me. Eppure dovreste avere maggiore esperienza del mondo! Tutti, senza eccezioni, nascono e muoiono: perché lamentarsi tanto? Nonostante la mia giovane età e la mia scarsa forza, io sono riuscito a sopravvire anche dopo che i miei genitori sono morti, perché Dio ci può proteggere ovunque, essendo onnipotente.
Talvolta capita di perdere del denaro per strada, dove tutti possono vederlo, eppure lo si ritrova. Quando invece è destino che quel denaro vada perduto, lo perderemo comunque anche se è chiuso a chiave dentro casa.
Nello stesso modo secondo la volontà di Dio si può sopravvivere nella giungla senza alcuna protezione, oppure morire in casa propria circondati da amici e parenti pronti a salvarci.
Il corpo che abbiamo non è differente dalla casa in cui abitiamo e con la quale ci identifichiamo. Anch’esso è fatto di elementi materiali e quindi è destinato a disgregarsi.
Questa persona che piangete, il vostro Re Suyajna, prima poteva sentirvi e rispondervi ma ora non più. Perché?
In realtà voi non avete mai visto veramente la persona che vi sentiva e vi rispondeva e che ora se ne è andata. Quello che siete abituati a vedere è il corpo ed il corpo è ancora qui davanti a voi: non è andato via.
Coloro che possiedono la conoscenza della realizzazione spirituale sanno bene che l’anima è eterna, perciò non sono sopraffatti dal dolore davanti alla morte, ma è molto difficile dare buoni consigli a chi si trova profondamente immerso nell’illusione.
Nella foresta, un cacciatore catturò la femmina di un uccello. Il suo compagno la vide piangere impigliata nella trappola e capì di non essere in grado di aiutarla. Pensò ai loro piccoli indifesi ed affamati che attendevano nel nido e si disperò accanto a lei finché il cacciatore non abbatté anche lui, con una freccia.
A che serve piangere? Potete star qui a lamentarvi per centinaia di anni ma non potrete riportare in vita il vostro parente e nel frattempo anche la vostra vita sarà sprecata.”

Quindi, perché Yamaraja parlò in quel modo ai parenti del Re morto? Possiamo pensare che le persone non cambino mentalità, che è tutto inutile. Nessuno cambia, giusto? Noi possiamo cambiare mentre gli altri sono incapaci di farlo. Questa affermazione me la sento dire molto spesso: gli altri non cambiano. Noi possiamo anche cambiare ma gli altri no. Persino i miei sforzi per scrivere o raccontare a voce, vengono considerati una inutile perdita di tempo. “Tanto le persone non cambiano, caro illuso Alessandro!”

Nella nostra tradizione abbiamo persone che sono riuscite a cambiare gli altri, semplicemente raccontandogli le cose in maniera differente dal solito. Sia chiaro, cambiamo noi, grazie alle persone sagge e di conseguenza cambia il mondo perché ci saranno altri che cambiano come noi siamo cambiati. La rivoluzione nasce dal cambiamento del singolo che poi si espande al nostro prossimo e così via. Un po’ come per lo sciopero. Non fanno sciopero perché tanto non lo fa nessuno e le cose non cambiano. È una mentalità un po’ strana questa ma è così che funziona, generalmente.

Cartesio sosteneva che è più importante la mente del corpo, che è destinato alla corruzione, che invecchia, che prende le rughe. Molto meglio scegliere la mente ed infatti Cartesio afferma “penso dunque sono” – Cogito Ergo Sum. Quindi, la mente è superiore al corpo e gli animali che non pensano, li utilizzava nei suoi esperimenti, regalando loro inaudite sofferenze. Ecco, l’esempio di Cartesio dimostra che non sempre le persone illustri sono anche intelligenti. Infatti la mente è una cosa materiale. Inoltre chi maltratta o uccide un animale vedrà germogliare nel proprio cuore la foresta del terrore della morte, proprio perché vede le differenze tra gli esseri viventi e non l’unità.
Un altro esempio che mi viene in mente, è la rappresentazione della virtù nell’arte antica. La contrapposizione delle forme aggraziate delle sculture che hanno sempre il pene piccolo, rispetto al satiro oppure alla bestia domata dal virtuoso.

Ma andiamo avanti.

Richard Douglas “Dick” Fosbury, saltò rovesciando il suo corpo all’indietro. Cambiò punto di vista nel salto in alto e vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico. Vinse indossando due scarpe di colore diverso semplicemente “perché la destra di quel colore mi dava una spinta verso l’alto superiore rispetto a un altro tipo di calzatura”. Interessante, vero? Oggi quasi tutti gli atleti saltano alla Fosbury ma credo nessuno indossando due scarpe di colore diverso.

Ma andiamo avanti.

Platone, nel Libro VII della Repubblica, riferisce di uno schiavo in catene all’interno di una caverna. Platone descrive lo sforzo compiuto dallo schiavo per voltarsi verso l’ingresso della caverna e grazie a quello sforzo doloroso, l’uomo si accorge della luce e della realtà fuori dal luogo buio in cui era costretto a vivere. Una presa di coscienza. L’ex schiavo liberato cerca di comunicare ciò che ha intravisto ai suoi compagni di sventura ma incontra enormi resistenze da parte degli altri schiavi.

Dio è la radice e si trova nel nostro cuore come ovunque e dirige l’errare di tutti gli esseri, come afferma Krishna nella Bhagavad Gita. Anche il potere di miglioramento discende da Lui. Da parte nostra deve esserci il desiderio di affrontare il dolore di voltarci, di cercare la fonte degli insegnamenti che ci permetteranno di scorgere la luce fuori dalla caverna.

Anche il gesto di tornare indietro per raccontare ai propri compagni di sventura che fuori c’è un mondo diverso dalle fredde pareti della grotta, che fuori c’è la luce e non il buio, fa parte dello sforzo e del desiderio.

In realtà i Veda ci spiegano che tutto si trova anche nel centro del nostro cuore. È li che dobbiamo rivolgerci.

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