Rappresentazione di Mandavya sul palo con i ladri.
Per gli uomini la vita sul pianeta Terra non è per niente facile e la storia del saggio Mandavya, offre in proposito molti spunti di riflessione. Merita quindi di essere conosciuta. Questa storia appare in Sambava Parva / Adi Parva del Mahabharata.
Krishna ha particolarmente a cuore tre categorie di viventi, oltre ai Suoi devoti: i Brahamana, le mucche e gli esseri indifesi. Ad esempio l’uccisione di un Brahamana è un peccato molto difficile da espiare, mentre la macellazione di una mucca costringe ad essere macellati tante volte quanti sono i peli dell’animale. Anche per questo, bisogna astenersi dal giudicare quando si vede una mucca in un mattatoio. Probabilmente gli esseri indifesi come minimo meritano la compassione e la mancanza di compassione, ovvero un cuore duro come pietra, obbliga ad espiare le proprie colpe, prima o poi. La legge di Causa ed Effetto non è un concetto astratto.
Nel tentativo di sfuggire ai soldati del Re, dei ladri si introdussero di nascosto nell’eremitaggio del saggio Mandavya, lasciando da qualche parte la refurtiva.
I soldati, trovato il maltolto lasciato dai ladri, ne chiesero ragione a Mandavya ma questi, impegnato in meditazione, non rispose. Sospettandolo di complicità lo arrestarono, quindi Mandavya venne giustiziato su ordine del Re insieme ai ladri, per mezzo di un palo.
I soldati informarono il Re della morte dei ladri sui pali e che invece Mandavya era ancora vivo. Il Re gli chiese perdono ed ordinò che venisse estratto il palo dall’ano del saggio ma questo non poteva essere estratto perché ormai legato alle sue viscere. Il Re ordinò quindi che il palo venisse tagliato e Mandavya visse il resto della sua vita, con la parte terminale del palo all’interno del suo corpo. Per questo Mandavya è anche conosciuto come Ani Mandavya.
Mandavya era un Rishi così grande che ha continuato a fare penitenza nonostante la sofferenza fisica. Il dolore è il corpo e non l’anima. Le persone furono sorprese di vedere il grande saggio sopravvivere al dolore del palo conficcato nel suo corpo e nonostante questo continuava a perseguire la penitenza. Se qualcuno gli chiedeva, rispondeva che nessuno era responsabile della sua sofferenza.
Il saggio Mandavya, che era un Brahamana votato al bene di tutti, che conduceva una esistenza senza peccato, avvicinò Yama, il dio della giustizia, conosciuto anche come Dharmaraja e gli chiese quale peccato avesse mai commesso per dover soffrire la terribile agonia causata dall’essere trafitto con un palo. Mandavya venne chiamato ed elogiato da tutti come ‘”Ani Mandavya “ (Mandavya con tridente).
Yama rivelò al saggio Mandavya che quando era ancora un ragazzino, aveva trafitto con la punta di uno stelo di erba Kusha, una locusta viva, (o forse una libellula) rendendosi in questo modo responsabile degli spasmi sofferti dall’insetto.
Ani Mandavya trovò la punizione spropositata e maledisse Yama a rinascere sulla Terra in una famiglia di Sudra, affinché sperimentasse sulla propria pelle quanto è difficile la vita degli uomini su questo pianeta.
Benché i Sudra non avessero facilmente accesso alle cose spirituali, grazie ai meriti accumulati nelle sue esistenze precedenti, Yama poté godere della frequentazione e degli insegnamenti di persone spiritualmente elevate.
Fu così che Yama, il signore della legge, nacque come Vidura, il figlio di una donna Sudra e come fratello di Dhritarashtra e Pandu Maharaja. come riportato nel Mahabharatha.
Le regole dei Veda, Upanishad, Dharma Shastra, Itihasa e Purana, sono stati incorporati nel Codice penale indiano e varie altre leggi, Anche l’aspetto della delinquenza giovanile è stato considerato e codificato secondo il detto di Mandavya: non può essere considerato colpevole per le azioni commesse, un bambino sotto i 12 anni.
Tuttavia le Scritture affermano che non puoi sfuggire alla punizione per i peccati commessi nella nostre nascite precedenti.
Ramakrishna Paramahamsa e Ramana Maharishi languirono per il cancro e Swami Vivekananda soffrì di asma acuto e vari altri disturbi prima di morire prematuramente a 39 anni. Perché tale sofferenza per questi uomini di alto livello di dharma? La risposta è che è il loro destino è dettato dal loro “Prarabdha Karma”, dall’effetto del quale nessun mortale o immortale, può sfuggire. Secondo le Upanishad è simile ad una freccia lanciata da un arco.