Pochissimi sono coloro che hanno sentito parlare della Bhagavad Gita, ancora meno quelli che l’hanno letta.
Per citare solo alcuni degli illustri lettori della Bhagavad Gita:

Lessi con con emozione una traduzione della Bhagavad Gita; era atroce, ma vi trovai per la prima volta una traccia dell’oro di cui, nella mia personale ricerca, avevo intuito l’esistenza” – H. Hesse

L’opera più istruttiva e sublime che esista al mondo” – A. Schopenhauer

Il più bello dei libri” – R. W. Emerson

Forse l’opera più profonda ed elevante che il mondo possa offrire” – A. Von Humboldt

Se le varie tragedie che hanno costellato la mia vita non mi hanno lasciato nessuna cicatrice, è solamente dovuto agli insegnamenti della Bhagavad Gita” – Mahatma Gandhi

Ovunque si trovi Krishna, il maestro di tutti i mistici, ovunque si trovi Arjuna, l’arciere supremo, là senza dubbio regneranno anche opulenza, vittoria, straordinaria potenza e moralità. Questa è la mia opinione” – Sanjaya (in chiusura della Bhagavad Gita)

La Bhagavad Gita sono i dialoghi tra Krishna ed Arjuna sul campo di battaglia di Kurukshetra. Per contestualizzare questi meravigliosi dialoghi, per conoscere la storia che sfociò nella battaglia di Kurukshetra, è necessario leggere il Mahabharata.

In questa pagina, tento di fare un riassunto del Mahabharata (L’ORIGINALE È COMPOSTO DA 100.000 VERSI!) cercando di salvaguardare il più possibile, i profondi insegnamenti morali presenti in questa meravigliosa opera letteraria.
Per comprendere bene, è necessario essere consapevoli che anche se talvolta un virtuoso soffre mentre un peccatore prospera, alla fine il peccato porta sempre alla rovina e la virtù al successo e che c’è sempre un piano per il bene universale. In ogni era e in ogni luogo, Krishna prende molte forme per distruggere coloro che con le loro azioni appesantiscono la Terra.

Il libro da cui traggo il riassunto lo trovate su Amazon in formato elettronico e cartaceo.
ISBN-10: 8895687167
ISBN-13: 978-8895687162
ASIN: B0765M618J
OM Edizioni

Pandu significa “pallido” mentre Dhritarastra nacque cieco. Vidura nacque da una ancella di corte e divenne poi primo ministro e consigliere dei Kuru. Per sapere il perché, dovrete acquistare e leggere il libro.
Comunque sia, essendo Dhritarastra cieco e Vidura figlio di una ancella, entrambi non poterono essere incoronati Re. Pandu però era perfetto e quando divenne adulto divenne Re dei Kuru.

C’era una principessa nella stirpe degli Yadu, che si chiamava Kunti che divenne sposa di Pandu mentre Gandhari, un’altra principessa, divenne la sposa del cieco Dhritarastra. Dhritarastra ebbe cento figli da Gandhari mentre Pandu ebbe tre figli dalla regina Kunti e due dalla regina Madri.

Poiché Re Pandu era molto retto e virtuoso, per senso del dovere decise di punire alcuni Re malvagi che avevano abbandonato la via tracciata dagli antenati. Mise insieme un’armata riuscendo a sconfiggere molti Re guerrieri. Al ritorno dalla campagna di guerra, Pandu decise di andare ad abitare in una semplice dimora ai piedi dell’Himalaya. Il suo regno venne affidato al cieco Dhritarastra, fratello maggiore di Pandu.

Un giorno, mentre cacciava, Pandu vide due grandi cervi che si accoppiavano e con cinque frecce colpì il cervo maschio che prima di morire si mise a parlare, dicendo:

“Che vergogna! Anche coloro che sono schiavi dei propri sensi, non agiscono con tanta crudeltà. Perché hai agito contro le leggi vediche colpendomi mentre mi accoppiavo con mia moglie e stavo per concepire un figlio? Nessuna creatura dev’essere uccisa durante l’accoppiamento ed il tuo è un peccato crudele!”

Il cervo che era in realtà un Brahamana, maledì Pandu dicendogli che sarebbe morto appena si sarebbe avvicinato con desiderio a sua moglie. Per scongiurare gli effetti della maledizione Pandu si dedicò all’ascetismo con mente fissa, facendo voto di celibato e dedicandosi al bene di tutte le creature viventi. Viveva molto semplicemente, mangiando frutta e radici e bevendo l’acqua delle sorgenti. Un uomo senza figli non può pagare il debito ai suoi antenati, quindi non può andare in cielo perché senza figli nessuno avrebbe continuato le offerte agli antenati.

La regina Kunti era a conoscenza dell’impossibilità per Pandu di avere figli ma insieme a suo marito trovò uno stratagemma: invocò Dharma, il deva della giustizia e da lui ottenne un figlio: Yudhisthira.
In seguito la regina Kunti invocò altri deva e nacquero Bhima e Arjuna mentre dalla regina Madri, la seconda mogie di Pandu, nacquero due gemelli: Nakula e Sahadeva.
Ecco dunque i cinque Pandava, i figli di Pandu, concepiti con l’aiuto dei deva, perché Pandu non poteva procreare a causa della maledizione del Brahamana-cervo: Yudisthira, Bhima, Arjuna, Nakula e Sahadeva.
QUESTO DIMOSTRA L’IMPORTANZA DELLA SELEZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE CHE NEL CASO DEI PANDAVA AVVENNE ANCORA PRIMA DELLA LORO NASCITA.

I Re vedici generalmente si prendevano cura dei sudditi proprio come fa un padre verso i propri figli e per garantire la prosperità del regno, si dedicavano allo svolgimento di costosi sacrifici, eseguiti da Brahamana esperti.
Con i tesori ricevuti da Pandu, Dhritarastra fece cinque sacrifici grazie ai quali il regno ed i sudditi ebbero tutto ciò che potevano desiderare con la loro dedizione ai sacrifici vedici, alla virtù, alla preghiera. Si amavano tra loro ed il loro benessere crebbe continuamente.

Da Gandhari, moglie di Re Dhritarastra, che governava il regno per conto di Pandu, in circostanze meravigliose e ben descritte nel libro da cui traggo questo riassunto e che calorosamente vi invito ad acquistare e leggere, nacquero 100 figli maschi ed una femmina. Il primo dei figli maschi si chiamò Duryodhana ed alla sua nascita ci furono segnali di sventura che però il padre non volle considerare.

Nel frattempo, Re Pandu con le due sue mogli, viveva ancora alle pendici dello Himalaya e continuava a procurarsi cibo nei boschi. Una sera, in compagnia di sua moglie Madri, Pandu nonostante la consapevolezza della maledizione di Kindama, il Brahamana-cervo che aveva ucciso mentre si stava accoppiando, dopo dodici anni di astinenza, venne preso dalla sensualità verso la regina Madri, si accoppiò con lei e morì.
Sia la regina Kunti che la regina Madri, pur disperate per la morte del loro marito Pandu, non persero la consapevolezza che tutto è un disegno di Dio e che le vie della provvidenza sono misteriose.

La regina Kunti, accompagnata dai cinque figli di Pandu, partirono per Hastinapura, la città di Dhritarastra. Con la morte di Pandu, i cinque principi avrebbero dovuto essere considerati legittimi eredi al trono.

Purtroppo però, l’oscura era di Kali si stava avvicinando e le azioni malvagie aumentavano sempre di più, preludio allo sconvolgimento del mondo.

I Pandava si godettero la vita ad Hastinapura, giocando con i Kaurava, i cento figli di Dhritarastra e dimostrando fin da subito la loro superiorità nei confronti dei cugini non solo nella forza fisica e nell’uso delle armi ma anche in gentilezza, modestia e devozione verso gli anziani.
Duryodhana ed i suoi fratelli erano invece egocentrici, orgogliosi e spesso arroganti, dediti agli intrighi di corte ed iniziarono a coltivare intenzioni violente e malvagie verso i cugini Pandava tanto che si spinsero ad avvelenare il cibo di Bhima, uno dei figli di Pandu, il più forte, invincibile in battaglia.
Duryodhana voleva ostacolare in ogni modo i Pandava, per garantirsi la salita al trono.
Yudhisthira, il primo figlio della regina Kunti, concepito grazie a Dharma, credeva che gli altri fossero onesti come lui e non sospettò delle trame di Duryodhana ma sua madre Kunti riusciva a notare lo sguardo malvagio e pieno di invidia di Duryodhana. Nonostante il tentativo di omicidio da parte di Duryodhana, per un inscrutabile disegno della provvidenza, Bhima ne aveva tratto una grande fortuna (leggete il libro! Leggendolo scoprirete come la regina Kunti concepì un figlio, pur rimanendo vergine, chiamato Karna il cui padre era il deva del sole, Surya).

La regina Kunti era nata nella città di Mathura ed aveva un fratello di nome Vasudeva che era stato imprigionato da un Re malvagio di nome Kamsa.
Questo Re malvagio era stato informato che l’ottavo figlio di Vasudeva, lo avrebbe ucciso. Imprigionò quindi Vasudeva e sua moglie Devaki, uccidendo tutti i loro figli. Ma il settimo e l’ottavo figlio della coppia, scamparono alla morte. Si chiamavano  Krishna e Balarama.
Portati nel villaggio di mandriani di Vrindavan, i due vennero allevati da Nandan e a tempo debito, Krishna tornò nel regno degli Yadu e uccise Kamsa, con l’aiuto di suo fratello Balarama e divennero Re degli Yadu. La regina Kunti era la zia di Krishna e Balarama e i due si sentivano legati anche ai cinque figli della regina Kunti.

Krishna chiese quindi ad un suo consigliere Akrura di recarsi dai Kaurava. Akrura disse a Re Dhritarastra: “Mio caro Re, sei sul trono solo perché Pandu ha lasciato il corpo prematuramente. I figli di Pandu sono gli eredi diretti al trono. Non favorire i tuoi figli a loro discapito”. Akrura gli disse anche di governare attenendosi strettamente ai principi della morale, trattando tutti i sudditi equamente. Disse che l’eccessivo attaccamento ai propri parenti è un segno di ignoranza perché la parentela è pura illusione.
Favorendo i suoi figli, Dhritarastra si sarebbe comportato da ignorante e l’ignoranza porta solo guai e dolori.
Re Dhritarastra, pur riconoscendo la giustezza delle parole di Akrura, pur sapendo che Krishna viene per alleviare le pene del mondo, che la sua missione era di distruggere i molti Re demoniaci che stavano invadendo la terra e che si erano alleati tra loro, rifiutò di prendersi le sue responsabilità continuando a favorire i propri figli con a capo Duryodhana.
Yudhisthira, con la sua onestà, pazienza, gentilezza e incrollabile dedizione al dovere, sarebbe stato un ottimo Re mentre Duryodhana, senza morale, non lo sarebbe stato. Fu così che Re Dhritarastra insediò Yudhisthira come principe reggente, scatenando la collera di suo figlio Duryodhana che presto escogitò un modo per allontanare i Pandava da Hastinapura e poi ucciderli facendolo sembrare un incidente. Dhritarastra voleva letteralmente bruciare vivi sia i Pandava che la loro madre, la regina Kunti.

Il malefico progetto di Duryodhana fortunatamente fallì grazie alle parole di Vidura a Yudhisthira: “Colui che sa che esistono armi non di metallo che possono ferire, non si farà colpire. Sopravvive colui che comprende che il divoratore del legno e della paglia non raggiunge coloro che stanno in un buco nella foresta. Stai sempre all’erta. Colui che ha i sensi sotto controllo non può essere vinto”.
Nessuno doveva sapere che i Pandava erano vivi perché scampati all’incendio della loro casa e che erano in salvo nella foresta.
Nella foresta incontrarono una donna che li portò in volo sulle rive di un lago di montagna dove i fratelli costruirono una capanna.

Dopo molti mesi, I Pandava con la regina Kunti, per non farsi riconoscere, si travestirono acconciandosi i capelli come asceti ed indossando abiti fatti di corteccia d’albero ed intrapresero un viaggio che li portò nel villaggio di Ekachakra dove un bramino li accolse come ospiti.

Un giorno alla casa del bramino, arrivò un asceta errante che raccontò che a Panchala si sarebbe tenuta una cerimonia che, superata una difficilissima prova, avrebbe portato il vincitore a sposare la regina Draupadi, figlia di Re Drupada.
Arjuna, travestito da bramino, partecipò alla prova, la vinse ed ottenne la mano di Draupadi.

La regina Kunti, per ridurre la possibilità di far riconoscere i Pandava, non li aveva accompagnati alla cerimonia. Arjuna entrò nella capanna e disse: “O madre, siamo tornati portando un importante dono: guarda questo gioiello”.
Senza voltarsi a guardare, la regina Kunti rispose: “Dividi con i tuoi fratelli qualunque cosa tu abbia ricevuto”.
Dopo aver pronunciato queste parole, la regina Kunti si voltò e si accorse che Arjuna si era riferito a Draupadi, non ad un oggetto o un gioiello. Non avendo mai mentito in vita sua, la regina Kunti si trovava ora in un grosso guaio. Come avrebbero potuto i cinque fratelli condividere la stessa moglie?
I cinque fratelli giunsero ad un accordo e tutti sposarono Draupadi. Però la tradizione imponeva che il fratello maggiore si doveva sposare prima del minore e fu così che Yudhisthira sposò per primo Draupadi. Seguendo l’ordine di età gli altri fratelli sposarono Draupadi.
Il padre di Draupadi, Drupada, sorpreso del matrimonio multiplo, chiese a Yudhishtira: “O eroe, ho sempre saputo che un uomo può avere tante mogli, ma mai che una donna possa avere più di un marito”. Il Pandava rispose che la morale è sottile e la sua applicazione dipende dalle circostanze. Sua madre, la regina Kunti, aveva ordinato loro di dividere la principessa e lui ed i suoi fratelli, non volevano contraddirla. Ad avvalorare la possibilità del matrimonio di una donna, apparve Vyasadeva che spiegò come nelle ere antiche fosse comune per una donna avere molti mariti e che le regole potevano essere infrante per preservare qualche valore religioso più alto.

Ormai tutti sapevano che i Pandava erano ancora vivi nonostante i piani di Duryodhana. Re Dhritarastra invitò i Pandava, la loro sposa Draupadi e la regina Kunti a tornare ad Hastinapura, quindi assegnò la metà più desolata del suo regno ai figli di Pandu. In breve tempo, quel territorio desolato tornò ad essere ricco e fertile (per sapere come e perché, ancora una volta, vi prego di acquistare e leggere il libro).
Leggendo il Mahabharata scoprirete come Arjuna sposò Subhadra, la sorella di Krishna. Saprete come Balarama, fratello maggiore di Krishna volesse dare in sposa sua sorella a Duryodhana contro la volontà di Subhadra e come Krishna fece in modo che Arjuna rapisse sua sorella, unico modo per evitare l’ira di Balarama.
Il legame tra i Pandava e Krishna e tra Arjuna e Krishna così come la parentela della regina Kunti con Krishna, sono un punti fondamentali per capire la Bhagavad Gita.

Dopo un anno la forza dei Pandava era cresciuta e governavano con un solo scopo: mantenere il popolo sulla strada della virtù e della pietà perché la felicità nasce da una vita virtuosa e Yudhisthira divenne famoso come Dharmaraja, il Re della religione. Nel regno non c’erano incendi, malattie o altre calamità naturali.
L’arte di governo venne espressa da Narada che un giorno chiese a Yudhisthira: “O Re, stai spendendo bene le tue ricchezze per il benessere della gente? La tua mente è sempre nella virtù? Ti godi i piaceri della vita? Spero che non trascuri la religione e i sacrifici per motivi di profitto, o di profitto per la religione, o entrambi per il piacere che così facilmente tenta l’uomo”.
il solo scopo di un monarca era di mantenere i sudditi sulla strada del progresso spirituale, aiutandoli a progredire verso la liberazione, l’ultima meta della vita, assicurandogli nel frattempo protezione e la soddisfazione delle necessità materiali.

Narada disse anche a Yudhisthira di avere un messaggio di Pandu. Se Yudhisthira avesse fatto il sacrificio Rajasuya, avrebbe favorito il piano divino per liberare l’umanità dalle influenze demoniache. C’erano troppi Re e guerrieri malvagi sulla terra e Yudhisthira avrebbe dovuto sconfiggerli tutti prima di eseguire il Rajasuya.
Fu così che i quattro fratelli di Yudhisthira partirono e vinsero molte battaglie contro i Re che occupavano i territori dei quattro punti cardinali, quindi ritornarono carichi dei tesori che i molti Re avevano donato come segno di sottomissione a Yudhisthira.
Si diede inizio quindi al sacrificio del Rajasuya e dopo alcuni giorni Yudhisthira venne incoronato imperatore.

Per favore, tenete a mente che dopo l’incoronazione a imperatore di Yudhisthira, Krishna si ferì ad un dito e per medicare la ferita Draupadi si strappò un lembo del sari per fasciargliela.

Duryodhana divenne se possibile ancora più invidioso dell’opulenza dei Pandava e tutto del palazzo reale di Yudhisthira gli era odioso. Meditò vendetta, non sapendo che non si deve invidiare nessuno e che tutto è scritto dal Supremo per il bene ultimo di tutti. Tutto stava accadendo per volontà di Krishna per eliminare dalla terra i profani.

Fu così che Duryodhana convinse suo padre, il cieco Dhritarastra, ad invitare Yudhisthira ad una partita a dadi truccata. Si sarebbero messi in moto gli eventi che avrebbero portato alla distruzione dei Re della terra. anche perché le azioni prive di pietà non portano mai felicità.
Tuttavia, l’invito veniva da Dhritarastra e Yudhisthira aveva fatto voto di non rifiutare gli ordini degli anziani, quindi accettò l’invito di suo zio.

Fu così che Yudhisthira puntata dopo puntata si giocò, perdendolo, l’intero suo regno. Si continuò a giocare a dadi ma poiché l’intero regno era stato già vinto da Duryodhana, Yudhisthira si giocò i suoi quattro fratelli, sé stesso ed infine sua moglie Draupadi, perdendo anche loro.
I vizi in cui i Re possono cadere sono quattro: la caccia, il bere, le donne e l’azzardo anche se nel caso di Yudhisthira si era trattato di obbedienza all’ordine di suo zio.

Draupadi venne trascinata per i capelli nella sala da gioco per essere umiliata agli occhi di tutti, nonostante Draupadi fosse macchiata da sangue mestruale. Non bastò. Draupadi venne spogliata sotto gli occhi di tutti ma ella invocò l’aiuto di Krishna che immediatamente raggiunse la sala da gioco, fornendo a Draupadi una quantità illimitata di stoffa.

Fu così che per una sola strisciolina di sari usata per medicare la ferita al dito di Krishna, Draupadi ricevette una quantità illimitata di stoffa da Krishna.

Leggendo il libro, scoprirete come: “Colui che sa ma che non risponde per paura, tentazione o rabbia viene legato dai mille cappi di Varuna e chi dice il falso viene punito nello stesso modo. Se uno conosce la verità, la deve dire. Se in una assemblea la virtù viene tradita dal peccato, è dovere di tutti rimuovere il peccato. Se in una assemblea non viene condannato un atto riprovevole, ogni singolo dell’assemblea commette peccato e verrà punito a tempo debito”.

I Pandava assieme alla loro moglie Draupadi vennero esiliati in una foresta per dodici anni più un anno da vivere in incognito. Se fossero stati scoperti durante il tredicesimo anno, sarebbero dovuti tornare in esilio nella foresta per altri dodici anni.

Nel libro scoprirete le cose meravigliose che accaddero durante l’esilio.

Al ritorno dai tredici anni di esilio, Yudhisthira e gli altri suoi fratelli si sarebbero accontentati anche di sole cinque città, pur di evitare la guerra ma l’avidità dei loro cugini impedì qualsiasi trattativa.
Fu così che si formarono due grandi eserciti. Da una parte, Duryodhana e molti altri Re e dall’altra l’esercito dei Re fedeli a Yudhisthira. Krishna decise di non schierarsi ma si limitò a fare da auriga per Arjuna. Condusse il carro di Arjuna in mezzo ai due eserciti schierati sul campo di Kurukshetra e pronti a combattere, dando vita a quel meraviglioso dialogo conosciuto coma Bhagavad Gita.

la Bhagavad Gita

Arjuna, vedendo quelle persone schierate e pronte per la guerra, tutti suoi parenti, amici e maestri, viene sopraffatto dalla compassione e rivolgendosi a Krishna, dice di non voler combattere.

Krishna disse ad Arjuna che non voleva combattere contro i suoi parenti ed amici: “Sebbene tu dica sagge parole, ti affliggi per ciò che non è degno di afflizione. I saggi non si lamentano né per i vivi né per i morti. Mai ci fu un tempo in cui noi non esistevamo. Io, tu e tutti questi Re e in futuro mai nessuno di noi cesserà mai di esistere. Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. La persona saggia non è turbata da questo cambiamento. O figlio di Kunti, la comparsa non permanente della gioia e del dolore e la loro scomparsa nel corso del tempo, sono simili all’alternarsi dell’inverno e dell’estate. Gioia e dolore sono dovuti alla percezione dei sensi, o discendente di Bharata e si deve imparare a tollerarli senza esserne disturbati. O Arjuna, la persona che non è turbata né dalla gioia né dal dolore, ma rimane salda in ogni circostanza, è certamente degna della liberazione. Coloro che vedono la verità hanno concluso che non vi è durata in ciò che non esiste e non vi è cambiamento in ciò che è eterno. Studiando la natura di entrambi, essi sono giunti a questa conclusione. Sappi che non può essere distrutto ciò che pervade il corpo. Nessuno può distruggere l’anima eterna. Il corpo materiale dell’indistruttibile, incommensurabile ed eterno essere vivente è certamente destinato alla distruzione, perciò combatti, o discendente di Bharata. Non è situato nella conoscenza colui che crede che l’anima possa uccidere o essere uccisa; l’anima infatti non uccide né muore. Per l’anima non vi è nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Essa è non nata, eterna, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il corpo muore. O Partha, se una persona sa che l’anima è indistruttibile, eterna, non nata e immutabile, come può uccidere o far uccidere? Come una persona indossa abiti nuovi e lascia quelli usati, così l’anima si riveste di nuovi corpi materiali, abbandonando quelli vecchi e inutili. Mai un’arma può tagliare a pezzi l’anima né il fuoco può bruciarla; l’acqua non può bagnarla né il vento inaridirla. L’anima individuale è indivisibile e insolubile; non può essere seccata né bruciata. È immortale, onnipresente, inalterabile, inamovibile e eternamente la stessa. È detto che l’anima è invisibile, inconcepibile e immutabile. Sapendo ciò, non dovresti lamentarti per il corpo. E anche se tu credi che l’anima nasca e muoia infinite volte, non hai nessura ragione di lamentarti, o Arjuna dalle braccia potenti. La morte è certa per chi nasce e la nascita è certa per chi muore. Poiché devi compiere il tuo dovere, non dovresti lamentarti così. Tutti gli esseri creati sono in origine non manifestati, si manifestano nello stadio intermedio e una volta dissolti tornano a essere non manifestati. A che serve dunque lamentarsi? Alcuni vedono l’anima come una meraviglia, altri la descrivono come una meraviglia, altri ancora ne sentono parlare come di una meraviglia, ma c’è chi non riesce a concepirla neanche dopo averne sentito parlare. O discendente di Bharata, colui che dimora nel corpo non può mai essere ucciso. Non devi quindi piangere per alcun essere vivente. Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta: così facendo non incorrerai mai nel peccato. O Arjuna, supera le influenze della natura materiale e liberati da ogni dualità, dall’ansia di guadagno e di sicurezza materiale e stabilisciti nel sé. Come una grande riserva d’acqua adempie a tutte le funzioni del pozzo, così colui che conosce il fine supremo dei Veda raccoglie tutti i benefici che i Veda procurano. Tu hai il diritto di compiere i tuoi doveri prescritti, ma non di godere dei frutti dell’azione. Non considerarti mai la causa dei risultati delle tue attività e non cercare mai di sfuggire al tuo dovere. Compi il tuo dovere con equilibrio, o Arjuna, senza attaccamento al successo o al fallimento. Tale equanimità si chiama yoga. Sforzati dunque di apprendere lo yoga, che è l’arte dell’agire. Quando la tua intelligenza avrà superato la densa foresta dell’illusione, diverrai indifferente a tutto ciò che hai ascoltato e a tutto ciò che potrai ascoltare. Quando la tua mente non sarà più distratta dal linguaggio fiorito dei Veda e rimarrà fissa nell’estasi della realizzazione spirituale, avrai raggiunto la coscienza divina”.

Udite quelle parole, Arjuna chiese a Krishna quali sono i sintomi di una persona la cui coscienza è immersa nella Trascendenza e Krishna gli risponde:

“O Partha, un uomo che si libera da ogni desiderio di gratificazione dei sensi generato dalla speculazione mentale e con la mente così purificata trova soddisfazione soltanto nel sé, è situato nella pura coscienza trascendentale. Chi non è turbato dalla sofferenza né inebriato dalle gioie della vita ed è libero dall’attaccamento, dalla paura e dalla collera, è considerato un saggio dalla mente ferma. La persona che in questo mondo resta impassibile di fronte a qualsiasi forma di bene o di male che le si presenti e non apprezza la prima né disprezza la seconda, è fermamente situata nella perfetta conoscenza. Chi è in grado di ritrarre i sensi dai loro oggetti, come una tartaruga ritrae le membra nel guscio, è fermamente stabilito nella perfetta conoscenza. I sensi sono così forti, o Arjuna, che travolgono persino la mente di un uomo saggio che si sforza di controllarli. Contemplando gli oggetti dei sensi si sviluppa attaccamento per essi; dall’attaccamento si sviluppa la cupidigia e dalla cupidigia nasce la collera. Dalla collera nasce la completa illusione e dall’illusione la confusione della memoria. Quando la memoria è confusa l’intelligenza è perduta e quando l’intelligenza è perduta si cade di nuovo nella palude dell’esistenza materiale. Tuttavia chi è libero dall’attaccamento e dall’avversione ed è capace di controllare i sensi osservando i principi regolatori della libertà, può ricevere la piena misericordia del Signore. Una persona che non è unita al Supremo non può avere né un’intelligenza trascendentale né una mente ferma, senza le quali non esiste possibilità di pace e come può esserci felicità senza pace? Perciò, o Arjuna dalle braccia potenti, chi distoglie i sensi dai loro oggetti possiede un’intelligenza ferma. Come l’oceano resta immutato nonostante le acque che vi si gettano, così soltanto l’uomo che non è turbato dal fluire incessante dei desideri che entrano in lui come fiumi, può ottenere la pace, non l’uomo che lotta per appagarli. Soltanto colui che non è più attratto dalla gratificazione dei sensi, che vive libero dai desideri, che ha lasciato ogni senso di possesso e si è spogliato dal falso ego, può raggiungere la vera pace. Questa è la via della vita spirituale e divina e dopo averla conseguita l’uomo non è più confuso. Chi intraprende questa via, fosse anche in punto di morte, entra nel regno di Dio”.

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